virtualizzazione

Oggi è quasi impossibile, per una qualsiasi realtà aziendale strutturata, fare a meno della virtualizzazione. Lo dicono i numeri: il 92% delle aziende adotta la virtualizzazione dei server, seguita dallo storage al 40%, dalla virtualizzazione applicativa al 39% e dalla desktop virtualization al 32% (fonte: spiceworks). Giusto per fare un inciso, quest’ultimo numero è destinato a crescere poiché la virtualizzazione del desktop (VDI) è un perfetto abilitatore di smart working.

C’è da dire che, se la virtualizzazione rappresenta un vero e proprio must a livello Enterprise, la stessa fonte rileva una profonda differenza – a livello di adozione della tecnologia – rispetto alle PMI, le quali procedono più lentamente secondo un percorso comunque ben definito. Il motivo è molto semplice: oltre ad essere alla base del cloud, la virtualizzazione ha un profondo impatto sull’efficienza dell’IT e del business, abbatte i costi di gestione del comparto tecnologico e, cosa tutt’altro che trascurabile, è un pilastro della continuità operativa. Questo significa, in poche parole, che se l’azienda – a prescindere dalla sua attività e settore verticale di appartenenza – vuole massimizzare l’efficienza del proprio IT e sfruttarlo per costruire valore, deve virtualizzare la propria infrastruttura.

Virtualizzazione: meno costi, più efficienza

Quali sono i tipici benefici della virtualizzazione? Come già anticipato, il primo è senza dubbio la riduzione dei costi, di per sé più che sufficiente per percorrere questa strada. Ma la virtualizzazione ha, inoltre, permesso di eliminare le inefficienze e modernizzato l’architettura: disassociando il software dall’hardware, l’hypervisor ha fatto sì che sullo stesso hardware potessero girare tante macchine virtuali (VM), ognuna con un suo sistema operativo e applicazioni, condividendo lo stesso server (host) fisico.

Quindi, anziché avere dei server con un’occupazione media di risorse del 15% l’uno, ora è possibile avere una sola macchina fisica con al suo interno svariate macchine virtuali, ognuna totalmente indipendente dalle altre. Ciò significa meno spazio nei rack del datacenter, meno costi legati all’hardware e alle persone che lo gestiscono, oltre a consumi elettrici in discesa, meno esigenze di climatizzazione del datacenter, di dimensionamento degli UPS, dei generatori e via dicendo. L’aspetto speculare è quello dell’efficienza: l’hardware funziona a pieno regime (pur con tutte le tolleranze del caso), non si sprecano risorse e anche gli aspetti gestionali sono semplificati dall’unico layer di virtualizzazione condiviso. Il concetto vale inoltre per tutte le forme di virtualizzazione, il cui minimo comun denominatore è sempre la separazione tra il livello hardware e quello software, nonché l’impiego dell’hypervisor che funge, appunto, da abilitatore di virtualizzazione.

Virtualizzazione come fondamento di continuità operativa

Per quanto appena detto, è palese il fatto che le aziende non possano non intraprendere questa strada: i benefici sono troppi per rimanere ancora legati ad un mondo ormai superato di gestire la propria architettura IT, a prescindere dal fatto che questo riguardi i server, storage, networking o anche gli endpoint. Ciò vale per tutte le aziende e per qualsiasi settore che devono sostenere importanti costi legati al comparto IT e che hanno intenzione di usare la tecnologia per innovarsi.

Oltretutto, aspetto per nulla secondario, la virtualizzazione è un elemento fondamentale per la continuità operativa delle applicazioni e del business rendendo decisamente più semplice garantire quel concetto di alta disponibilità dei sistemi, basilare per portare avanti la propria attività: le macchine virtuali, indipendentemente dall’hardware, possono essere spostate, duplicate e riavviate in tempi record su altre macchine in caso di fail di un server fisico. Diventa così molto più semplice, rispetto ad un tempo, raggiungere il concetto di fault tolerance che permette ai sistemi, e quindi al business, di operare anche in caso di fermo imprevisto.